30 novembre 2010

Monicelli, l'ultimo dei guasconi.

Monicelli l’ho incontrato due volte. La prima fu nel 2002, in occasione di un’intervista che concesse ad una mia collega di studi. Andammo a casa sua, nel Rione Monti, e mi stupii di come gli ambienti interni fossero colorati, giovanili. Gusto e semplicità. Nessuna ridondanza, nessuno sfoggio di premi e foto, come ne ho visti in altre occasioni. Una casa da giovane intellettuale di ottantasette anni. Esibì il suo garbato distacco ma rimase sempre cordiale con noi, emozionantissimi studenti di cinema. Talmente emozionati che io sbagliai la messa a fuoco persino nella foto ricordo che scattai. Lui, abituato alle interviste, rispose a tutte le domande, nessuna esclusa, anche se a giudicare dalla sua espressione alcune gli suonarono scontate.
Gli chiesi una dedica sulla monografia dedicata a lui della collana del Castoro, e lui me la fece senza battere ciglio. Mi sentii un sempliciotto.

Alcuni anni dopo ero diventato anche io un cittadino dell’Urbe, e il Rione Monti era uno dei miei quartieri preferiti. Una sera, mentre si avvicinava la mezzanotte, la mia compagna mi indicò stupita qualcuno dall’altra parte della strada. Era Monicelli. A passo sicuro si dirigeva verso il piccolo portone d’ingresso del palazzo dove abitava. Aveva un bastone, ma sembrava non averne davvero troppo bisogno. Si infilò dentro e sparì. Guardai l’ora, d’istinto: le ventitrè e cinquantacinque. Monicelli aveva compiuto da poco i 92 anni, e rincasava a mezzanotte, da solo. Pensai che sarebbe stato bello arrivare a quell’età così come lui ci era arrivato: leggero, lucido, coerente, e ancora al lavoro, di tanto in tanto.

Ieri mentre ricevevo notizie sulla sua morte, ho prima pensato che fosse un gesto coraggioso e spavaldo, poi che fosse una vigliaccata verso se stesso e tutti gli altri, poi non ho saputo proprio cosa pensare, e ho capito che non c’erano giudizi da dare, né poteva essere altrimenti. Stamattina i giornali non mi aiutavano a capire granchè: ho trovato le solite prevedibili parole: sgomento, grande regista, lucidità, dolore, cordoglio, mezz’asta. E allora cosa avrà significato tutto questo? Non so se qualcuno davvero possa affermare di saperlo. E forse non lo sapeva nemmeno lui. Ma è morto per una sua decisione, è morto volando, è morto nella piena facoltà di fare e dire ciò che voleva.
E forse, al pensiero di tutto ciò che sarebbe necessariamente seguito, ovvero il carosello di lutti, di politici e politicanti pronti a dare la loro superflua e presuntuosa interpretazione, di vie, piazze e rassegne da dedicare improvvisamente a lui (o alla sua morte?), di paroloni, di titoli di giornali, di fiori e di domande irrisolte, forse, al pensiero di tutto ciò, mentre si dichiarava pronto a passare oltre, Mario Monicelli aspirava l’aria romana per l’ultima volta e si scopriva a sorridere.
E che c'è di meglio di andarsene così? Fregandosene (forse!) di tutto e tutti? Solo una persona che ha vissuto e pensato quanto lui può seriamente pensare ad un finale come questo. Lui poteva.
"Perchè io sò io -  avrebbe detto il 'suo' Marchese del Grillo - e voi...non siete un cazzo".

P.D.

2 commenti:

  1. Molto bello questo articolo! Grazie

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  2. Ebbravo...speriamo di raccogliere anche solo mezzo seme dalla sua pianta

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